Un pensiero dolce

Nella propria mente, lui si è già impadronito di molti pensieri. Ma è quando si inserisce spesso nei discorsi con gli altri, che allora ne si percepisce la profondità.

Lui è bello. È bello per gli occhi, ma soprattutto perché ha quella purezza unita a diavoleria, con la capacità di far provare qualcosa.

Lui è brividi costanti lungo la schiena, per cui c’è quell’esuberanza che porta a fare le vocine stupide, a voler le coccole e a sentire la mancanza.

Lui è profondità, in cui lasciarsi andare senza timori e paure, anche se quella strizza di insicurezza rimane sempre, di fronte a tanta felicità.

Lui è un pensiero dolce, bellissimo, che lascia quella sensazione di calore che abbraccia e avvolge.

Lui, è lui.

E io voglio essere forte abbastanza per godermelo tutto.

Liste

Parole, spiegazioni, aggettivi, imprecazioni, stati d’animo, pensieri, turbamenti e incazzature, tutti in fila, ordinatamente formavano una lista che mi ha reso irrequieta.

Non avevo un obiettivo, non c’è tutt’ora uno scopo, a quei tantivi di riflessione sui cui mi sono incattivita talmente tanto fino a voler andare a sbattere la testa contro al muro.

È come se dovessi trovare a tutti i costi un motivo per tener ben salda quella spina sul fianco che rischio di conficcare sempre più in profondità.

Come se sentirmi addosso un senso di irrequietezza costante mi tenesse accessa, dimenticandomi di quanto può essere piacevole essere iperattivi sentendosi contenti e basta.

Imparerò.

Imparerò!

Imparerò? C’è qualcosa da imparare o è semplicemente qualcosa di cui dovrebbe importarne nulla?

Andiamo da Laura Pausini, va!

Per me di 17 ottobre

Da quanti mesi che non scrivevo qualcosa solo per me! Sarà che negli ultimi mesi non ho avuto pensieri così tristi come, rileggendo alcuni miei post, al mio solito. Forse è perché oggi entro ufficialmente nella vecchiaia (sono 30, cazzo!) e ho per la prima volta nella mia vita un contratto a tempo indeterminato.

A volte la vita sembra farci rivivere dei deja-vu senza fornire indicazioni. In altri momenti, invece, ci sembra di perdere familiarità con le varie situazioni che si paranao davanti a noi. Chissà, la mente è una cosa particolare.

Comunque dicevo, che bel periodino che si sta chiudendo per me… Sono successe tante cose, sia belle che brutte o strane. Non saprei riassumerle, ma citando solo qualche episodio recente di esempio potrei rendere l’idea. Ho visto per la prima volta un concerto allo stadio di Wembley a Londra, ma non un live qualunque, era l’eventro tributo a Taylor Hawkins dei Foo Fighters. Ed ero in prima fila (lavorativamente parlando ha portato delle belle soddisfazioni). Un paio di settimane dopo, però, è morta la mia Charla. Poi ho vinto il tanto agoniato e atteso bando di concorso per la Scala… e oggi sono tornata lì, non pensavo neanche di passare, figurati vincere. Inoltre, sto scompando molto.

Come andrà dopo oggi? Chi può dirlo: ho un po’ di ansia. Spero di continuare comunque a fare tantissimo sesso.

Perché è successo tutto di lunedì 17 ottobre? Non so, ma ora sono pronta per il nuovo album degli Arctic Monkeys (sì, fare la giornalista di musica – ah si, ovviamente anche quello continua – ha i suoi vantaggi).

Chi è la merda?

Ho su Facebook (chissà per quale motivo) il professore di matematica che ho avuto durante i miei primi due anni di liceo scientifico. (Sempre per un motivo che non conosco) a volte mi capitano in bacheca suoi post in cui condivide o sostiene le cazzate del Senatore Pillon.

Quello mi metteva sempre due e io ero una super capra in matematica, ma è lui a essere ancora una merda di persona.

Ho come la sensazione che…

la vita mi stai scivolando via come seta tra le dita.

Non so spiegare bene questa sensazione e forse è proprio questo il punto in cui sono bloccata: non so esattamente cosa mi stia succedendo, ma ho come la sensazione di perdere costantemente il controllo e di non sapere come muovermi.

Non riesco a leggermi dentro e non so capire a cosa sia dovuto il blocco che avverto nei miei pensieri, nella mia pancia, che si fa via via sempre più pesante.

Come se un’ombra oscura si fosse agganciata a me fino a sovrastarmi. Quando alzo gli occhi al cielo faccio fatica a vedere la luce, e guardarmi indietro mi fa un po’ paura.

Forse dobbiamo tutti guarire da qualcosa, e sta a noi scegliere di scoprire di cosa si tratta.

No Time No Space

Mio papà aveva una paura bestiale dell’aereo, tanto da non esserci mai salito. Tutte le vacanze e i viaggi che abbiamo fatto in famiglia potevano comprendere spostamenti in auto, nave, treno. Ma mai un aereo.

Era la prima metà degli anni ‘90 quando si è iniziato a viaggiare in quattro – più il levriero spaparanzato nel bagagliaio – su una Peugeot station wagon. Le mete dei primi viaggi erano la Valle d’Aosta, il Lago Maggiore, il Veneto o la Liguria – prima di diventare destinazioni estere e sempre più lontane. Quelli in macchina erano momenti in cui ci si scambiava i propri sogni, anche senza parlare ma solo ascoltando la musica, mentre con gli occhi si seguivano le forme del paesaggio fuori dal finestrino.

I dischi che si ascoltavano durante i viaggi in macchina erano quasi sempre quelli di Franco Battiato, a parte quando io e mia sorella ci lamentavamo e chiedevamo di mettere un’alternativa. (Tra le alternative proposte dai miei genitori ricordo particolarmente Michael Jackson, Madonna e Sting – che anche lui alla fine ci andava bene. Ricordo pure che le prime alternative consentite a me e mia sorella furono “…Squérez?” dei Luna Pop e la cassettina della colonna sonora di “Space Jam”. Chissà perché questi sì, e le Spice Girls o i Backstreet Boys no).

Era sempre mamma a scegliere quale disco di Battiato ascoltare, perché lei era la “vera” estimatrice in famiglia. L’album che, ascoltandolo, più mi riporta con la mente ai viaggi in macchina di quando ero bambina è “Gommalacca”. Forse perché quando uscì io avevo sei anni e captavo già un pochino meglio quello che i miei ascoltavano in casa o in macchina. (Anche perché quando un disco era appena uscito, i miei lo ascoltavano spesso e più di altri). De “L’imboscata”, per esempio, ricordo che a quei tempi mi colpì di più l’immagine della copertina che i suoni dell’album (che poi è quello di “La cura”).

Da piccola mi divertivo a sgamare mamma canticchiare e papà tenere il tempo con la testa o le mani mentre ascoltavano la musica, che soprattutto in macchina era un momento di condivisione “pacifico” – senza litigi tra genitori o tra sorelle, nonostante un legame d’amore forte e puro.

All’inizio io e mia sorella ci lamentavamo della musica di Franco Battiato, per noi così complessa e “alta”. Tuttavia, non facevamo i capricci quando ci portavano con loro a vedere Battiato, anzi. Con gli anni andò a finire che ero io a rubare i dischi a mamma e a chiederle di andare con lei ai suoi concerti.

Forse non ho mai ben spiegato a mia mamma cosa significhino per me la musica di Battiato e i momenti a cui questa mi riporta – ci sono così tanti ricordi: dai più sentiti ai più stupidi, come quando prendevo in giro mio papà per il suo nasone, dicendogli che somigliava al professor Piton di Harry Potter (che, a sua volta, somigliava a Renato Zero) o a Franco Battiato). Forse non sa neanche quanto il suo interesse e quello di papà per Battiato e la musica in generale o le cose belle mi abbiano in qualche modo guidato verso i miei sogni.

Questa mattina, 18 maggio 2021, davanti a quella brutta notizia ho come sentito e visto perfettamente attraverso i ricordi mio papà ascoltare Battiato, come in quei viaggi in macchina con io seduta dietro insieme a mia sorella e lui davanti nel posto del passeggero – perché ovviamente guidava sempre mamma.

Non mi capitava da molto tempo di pensare così intensamente a mio papà.

Che grande potere che ha la musica.

Fame chimica sul divano

Forse ciò che più desideriamo è qualcosa che non possiamo ottenere (possibilità 0,00001 su 1000 al 99,99%).

Così, mentre stasera ero a bere una birra e casualmente c’era lì quello che al momento mi piace, stavo lì a pensare a… boh, come potrei spiegarlo?

Forse lasciamo perdere e io mi alzom dal divano per prendere le Pringles.

Scegli un lavoro che ami

Guardo il 2020 finire come guardo il rendering di un video concludersi.

L’ultimo giorno del 2019 non immaginavo neanche che i mesi successivi sarebbero stati presi d’assalto da pandemia, restrizioni, lockdown e tanti saluti. L’ultimo giorno del 2019 prendevo in giro il Coronavirus. L’ultimo giorno del 2019 non sapevo che i mesi successivi avrei riso, sofferto, quasi pianto (no, alla fine non ho imparato a piangere), avrei visto svanire per sempre il rapporto con una persona che ritenevo (tutt’ora ritengo, in realtà) speciale, mi sarei trasferita e andata a vivere da sola con la Je, avrei conosciuto amici nuovi e avrei sentito la mancanza di quelli vecchi. L’ultimo giorno del 2019 lavoravo, scrivevo notizie, aspettavo con ansia le 23 per correre dagli amici e cercare di arrivare in tempo per brindare all’anno nuovo. L’ultimo giorno del 2019 non sapevo cosa sarebbe successo, ma sapevo che esattamente un anno dopo sarei stata rinchiusa in casa a lavorare.

Non sto scrivendo notizie, oggi non sono di turno. Sto solo finendo alcuni video per uno speciale che sarà annunciato nei prossimi giorni. E che speciale. Comunque sia, sono qui alla scrivania, guardando il mio riflesso sfatto sullo schermo del mac mentre aspetto con ansia che finisca l’esportazione di un video per fare direttamente il successivo. Avrei dovuto finire un’oretta fa, secondo i miei calcoli. Poi, sorpresa: 5 nuovi video da lavorare e caricare. Ok. L’alternativa sarebbe stata una passeggiata al parco con un libro sotto braccio. E invece, va bene così.

Scegli un lavoro che ami… Dice qualcuno. E infatti.

Colonna sonora di questo ultimo giorno del 2020: “Lament”, l’ultimo album dei Touché Amoré (il disco che più ascoltato nel corso dell’anno che sta giungendo al termine, che più di altri ha amplificato il mio senso di malinconia e allo stesso tempo ha aiutato un certo tipo di processo catartico, comunemente chiamato “vaffanculo”). Troverete una lista di cinque “cose” che più ho amato del 2020 alle 17 su Rockol.it (ovviamente).

Buon anno

Delusione

Perché ci vuole davvero un niente che una persona mi delude?

Non penso di aver grosse pretese, di aspettarmi chissà cosa. Però so cosa non tollero delle persone. Non sopporto la superficialità.

È una cosa che mi ci vuole un attimo da captare in qualcuno. Soprattutto se unita a presunzione, peccando di umiltà.

Che si fa? Si scappa? È possibile curare una persona così? Mah.

Cose così

Tra i ricordi Facebook oggi mi è spuntato fuori un post, che ho originariamente condiviso il 24 dicembre 2015. Esattamente 5 anni fa.

È una cosa strana: non ricordo quando mi è successo di nuovo. Sta di fatto che rileggendo quelle mie parole di qualche anno fa, mi sono trovata d’accordo con me stessa, riprovando – per di più- la stessa sensazione che provavo in quel periodo. (Ora come allora, infatti, mi sono tolta qualche sassolino dalle scarpe… e per di più ho lasciato indietro qualcosa che doveva stare indietro da tempo, in parole povere).

Non credo in dio, non professo nessuna religione, credo solo in qualcosa che si chiama comunemente Amore.
Forse vittima dei ricordi d’infanzia, del consumismo o del pandoro, ma per me il periodo di Natale è ció che piú si avvicina a quella felicità malinconica che celebra l’amore.
Ecco, io amo il Natale. Auguri!
🌹❤️🎄🎅🏼🎉 #innamoratadellamore

Vabbè, ora che lo si ha davanti agli occhi… diciamo che in quel periodo ero molto più zuccherina di ora. Forse adesso userei parole un pochino più pesate, ma anche equilibrate.

Invecchiando si perde l’entusiasmo? O si acquisce solo una forma di entusiasmo più consapevole?

Buon Natale